Prendo a prestito lo slogan che ha fatto vincere anni fa le elezioni ad Obama, con una piccola variazione, “Sì possiamo… farlo meglio”.

Lo faccio per riflettere su un tema a me molto caro: il futuro che abbiamo in testa. Quando si parla di futuro abbiamo di fronte scenari spesso apocalittici, oppure, al contrario, entusiastici, con una fiducia piena nella scienza e nella sua capacità di risolvere problemi che oggi sembrano non avere risposta per continuare all’infinito la crescita e lo sviluppo: sulla Terra fin che ce n’è, oppure su altri pianeti, quando la Terra non basterà più.

O salti sul carro del progresso, oppure inevitabilmente, su quello di chi rifiuta il progresso e vorrebbe tornare indietro, non si sa bene dove.

Tornare indietro non è possibile: le conoscenze e le esperienze accumulate in questi anni non si cancellano e la cosa peggiore che possa capitare è quella di ricadere nella nostalgia (vale per il passato e per il presente). D’altra parte non mi piace neppure salire su un carro dove mi sento impotente, trasportato. Si dice che a guidare il carro sia il mercato. Vai avanti se vinci sul mercato, altrimenti sei un perdente. Il problema è che il mercato oggi (più che mai), è tutt’altro che libero e in realtà non vanno avanti le idee migliori, ma quelle che convengono a chi governa il mercato globale.

Torniamo al nostro slogan “sì possiamo”, o se vogliamo dirla alla Veltroni “si può fare”: cosa? Non so voi, ma io sono veramente stanco di farmi governare da gente senza una mezza idea di futuro (ci metto dentro anche tutti i membri dell’opposizione, che mi sembrano solo dei panchinari pronti a subentrare a partita in corso, ma senza cambiare la visione di gioco). Basta.

L’altra notte ho fatto un sogno: ero dentro un autobus con tanta gente, guidato da un pazzo ubriaco. Mi sono chiesto: “Cosa faccio? Mi riparo dietro al sedile sperando di salvare la pelle? Oppure lancio l’allarme “qualcuno fermi l’autista!”. Poi ho capito che nè una nè l’altra mi avrebbero salvato la vita e allora mi sono alzato, mi sono avvicinato all’autista ed ho gridato “Avanti, datemi una mano a fermare questo pazzo!” Solo così possiamo avere la forza per fermare l’autobus e tornare in sicurezza.

Se abbandoniamo le posizioni di “comodo”, se smettiamo di chiedere ad altri di fare al nostro posto, se ci alziamo dal sedile e ci mettiamo in gioco, allora sono certo che “sì, possiamo”, avere la forza per cambiare. E’ già successo tante volte nella storia, non solo ad Obama. Ma, tornando al mio sogno dell’autobus, il problema non finisce quando riprendi il volante in mano. Anzi, il fallimento, la delusione che spesso segue certe vittorie, sta nella incapacità di avere una visione alternativa allo status quo. Nella incapacità di tradurre in azione di governo i sogni e le speranze, ma anche le paure, che avevano fatto aggregare la gente e moltiplicarne le forze. E’ da un pezzo che si è persa la differenza fra destra e sinistra. Oggi la partita si gioca fra “su” e “giù”, fra chi vola alto e chi striscia terra-terra.

Ecco perchè dico, “Sì possiamo… farlo meglio!”, avere la forza di immaginare un futuro migliore. In base a quali parametri? L’idea di “sviluppo” è estremamente diversa da quella di “miglioramento”. Lo sviluppo lo misura il PIL ed è un dato legato alla economia, che non corrisponde necessariamente ad un futuro auspicabile; per “farlo meglio” occorrono parametri diversi che misurino il grado di soddisfacimento e di benessere dell’uomo e dell’ambiente. Lo sviluppo cresce lasciando macerie e disuguaglianze dietro di sè; per “fare meglio” si fa affidamento sulle proprie radici, per portare nutrimento e forza a tutta la società e ci si muove come un organismo unico: il miglioramento non può esistere a vantaggio di uno e a discapito degli altri. Il miglioramento parte dallo stato di fatto, per correggere quello che non va bene, per riparare ciò che si è rotto, per togliere ciò che si è rivelato improprio, per ripristinare uno stato di salute. Non si butta il bambino con l’acqua sporca.

Il miglioramento ha bisogno di obiettivi: posso voler migliorare il mio livello culturale o la potenza dei miei muscoli, ad esempio. Ma parlando di modello sociale come dobbiamo intendere il miglioramento? Sono poche le persone che oggi si dichiarano felici, anche se difficilmente sono disponibili a rinunciare a questa “infelicità”. Ansia, stress, paura, invidia, insoddisfazione, malessere, ma soprattutto, la mancanza di tempo. Per far cosa? Probabilmente per aggiungere altro stress ad una vita già troppo piena di cose che si devono fare. E’ come se fossimo attenti unicamente alla parte “meccanica” del nostro essere e ci sbattessimo per alimentarla e riempirla di confort, senza tregua. Occorre ripristinare il collegamento fra il corpo e la mente, fra l’uomo e l’ambiente, fra il piacere del corpo e la vivacità del pensiero.

In questo senso vanno ribaltati i valori. L’economia deve lasciare il posto all’armonia, che è il codice che governa l’universo: la consapevolezza che il mio benessere è il tuo benessere ed il benessere del Tutto. Tutto è connesso, tutto è collegato (prima ancora del 5G…). Può sembrare assurdo, eppure l’armonia governa l’Universo fin dalla sua origine, mentre l’economia solo una parte infinitesima di questo, che è la Terra e per di più, da un periodo che rappresenta meno di un attimo.

Su questa base occorre costruire una idea di futuro migliore, utilizzando “indici armonici”, al posto di quelli “economici”, oggi non più consoni per affrontare le sfide del futuro. Pensiamo al cambiamento climatico. Gli indici economici ci porteranno all’estinzione.

Vi invito a prendervi 10 minuti e a scrivere su un foglietto di carta o, se preferite, sul vostro cellulare, qualche idea per un futuro migliore in armonia.

Possiamo condividerle e darle forza. Alziamoci dal sedile, fermiamo l’autobus! Insieme possiamo… fare meglio!

 

Il presente articolo è stato pubblicato sulle pagine del Corriere di Romagna e questo è il link nell’edizione digitale.