Ah ma che bello!
Mi guardo intorno e il mondo sembra che improvvisamente sia diventato tutto bio e vegano: “centinaia” di ristoranti, bar, locali, negozi, accorrono all’appello del mangiar sano, tutti a saltare sul carrozzone del “vincitore”.
Vuoi vedere che la nostra provocazione “va là, va là, avete finito di mangiar schifezze”, ha colpito nel segno?
Eh magari! Troppo bello.
C’è un modo di comportarsi da parte di talune aziende che viene definito “greenwashing”, darsi una lavatina con il verde, l’ecologia, un po’ di raccolta differenziata, due lampadine a basso consumo, quattro alberi piantati in un posto sconosciuto del mondo, per apparire amici dell’ambiente, quando in realtà la sostanza è tutta un’altra.
A questo comportamento falso e disdicevole, io accosterei anche questi nuovi arrivati e, aggiungendo una “s“, lo definirei “greenswashing”, darsi una lavatina con le verdure (dato che greens in inglese significa verdura), per continuare a propinare cibi tutt’altro che sani, accanto a quattro verdurine.
E’ così che anche McDonald’s ha le sue insalatine e burger vegan, Autogrill panini vegan e così via; vediamo il marchio vegan su una miriade di prodotti su cui ci sarebbe molto da discutere.
Stiamo perdendo la bussola?
Mangiare sano significa alimentarsi in modo biologico, vegetale, integrale, di stagione, preferibilmente locale.
Altrimenti coca cola e patatine fritte in olio di palma, sono veganissime, ma cosa centrano con il mangiar sano?
C’è un po’ di speculazione in tutto questo: il consumatore lo chiede e allora glielo danno, senza farsi troppe domande, troppi perchè. Infondo cosa costa aggiungere un piatto al menù, con due foglie di insalata e, per i più evoluti, farro, o seitan (qualcuno rischia anche il tofu…)? Poco e niente; basta poco per fare greenswashing.
Come sapete io cerco sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno e allora mi sforzo di pensare che tutto ciò non sia fatto in totale malafede, ma penso che qualche dubbio, qualche domanda stia cominciando a far breccia anche nella mente degli operatori più ottusi. E allora ci provano, a volte anche in modo goffo e stranito, altre volte con fare professionale, frequentando corsi e leggendo libri. Ma non è ancora una scelta di campo.
Noi riminesi diciamo “piutòst che gnint, l’è mei piutòst!”, vero e mi associo, purchè sia chiara per tutti la differenza fra chi ci prova (e va incoraggiato a far meglio) e chi lo fa veramente e va premiato.
Dico questo perchè nel calderone della disinformazione finisce tutto, bello e brutto, buono e cattivo.
E questo non va bene, perchè è sempre più difficile far filtrare le corrette informazioni, proteggerle dall’inquinamento e dalla banalizzazione delle mode, fare in modo che i messaggi arrivino in purezza a quante più persone possibile.
Ma è anche vero che mai, come in questi giorni, si sta parlando di cibo e non mi riferisco ad Expo, ma alla gente, nelle case, per le strade, nei luoghi di lavoro, con gli amici.
La rivoluzione del cibo avanza a grandi passi.
Le lobbies che controllano la produzione di carne, formaggi, prodotti farmaceutici, fanno sempre più fatica a nascondere la verità. A continuare il gioco perverso che fa ammalare e morire milioni di persone nel mondo, a causa di una alimentazione insana a base di alimenti di provenienza animale; di un abuso di farmaci; di una totale ignoranza da parte di ancora tanta gente, delle conseguenze di un modo di ingerire il cibo, di cui si è perso il piacere, il sapore, la riconoscenza per quanto ricevuto. Un tanto al chilo!
Per fortuna c’è Campbell e sempre più medici e associazioni in tutto il mondo, che si sono dissociati da questo modello; lo hanno denunciato e sono attivamente impegnati per costruire un futuro dove il cibo sarà la prima arma di prevenzione che, lo ricordo, non significa scoprire un mese prima di avere un cancro, ma di non averlo proprio!
Diamo voce a queste voci, diamo forza a questi pensieri, facciamo questi fatti!
Sediamoci a tavola con gioia e consapevolezza, senza paure o fanatismi, con la serenità di chi ha fatto una scelta e ne è orgoglioso.
E a questi cacciatori di patacche che dire?… Vabbè, se proprio non riuscite a far meglio, fatevi questo bagno nell’insalata, sempre meglio che nel latte d’asina, non so per la vostra pelle, ma sicuramente per l’asinello!